Scarica il numero
Una storia personale, complessa, felice e dolorosa, diventata “risorsa di vita” per tanti, per tutti. La storia è quella di Luca al quale a sette mesi (nel 1981) viene diagnosticata una grave forma di idrocefalia e dei suoi genitori, Fulvio De Nigris, giornalista, e Maria Vaccari, insegnante. Una storia nella quale il limite diventa sfida, la fragilità stimolo. Nonostante le difficoltà motorie date dalla patologia, Luca cresce, gioca, viaggia, scala montagne, nuota con papà Fulvio e mamma Maria sempre accanto, ma sempre attenti a fare quel passo indietro necessario a dargli tutta l’autonomia possibile. Una storia di anormale straordinarietà che si interrompe tragicamente quando Luca ha 15 anni e a seguito di un intervento chirurgico definito di routine va in coma.
Per otto mesi combatte insieme a quanti hanno imparato ad amarlo, si risveglia, ma poi deve arrendersi, e intraprende il suo ultimo misterioso viaggio che continua anche per Fulvio e Maria: l’Associazione Gli amici di Luca, lanciata nel 1997 per sostenere le costose cure che la famiglia doveva affrontare, diventa il seme da cui germoglia la Casa dei Risvegli Luca De Nigris, oggi una unità ospedaliera ad alta specializzazione neuroriabilitativa dell’Azienda Usl di Bologna, focalizzata sulla fase riabilitativa delle “condizioni a bassa responsività protratta” (ovvero persone in stato vegetativo e di minima coscienza) e le gravi disabilità “a lento recupero”.
Fulvio De Nigris, qual è il pezzo della storia di Luca che oggi è più presente nella Casa dei Risvegli?
La consapevolezza del fatto che “curare” non significa occuparsi di una malattia, ma prendersi cura del percorso di
una persona e di quanti fanno parte della sua orbita di relazioni, a partire dalla famiglia. Quello della “presa in carico”, intesa come approccio globale ai bisogni, in questi anni è un tema caldissimo in ambito sanitario. Senza dubbio il modello delle cure palliative, introdotto dalla Fondazione Hospice già nel 2002, molti anni prima della legge, ha contribuito a rendere evidente l’efficacia di questo concetto, tradotto in pratica quotidiana. È un postulato al quale ormai tutti fanno riferimento. Il riconoscimento dei valori cardine delle Cure Palliative – la multidisciplinarietà e la multiprofessionalità nei percorsi di cura, l’organizzazione per équipe, l’introduzione di figure che facciano da raccordo tra i bisogni medici e i bisogni del paziente e della famiglia – è un
chiaro e positivo segnale di questo cambio di paradigma.
Noi, per esempio, alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris abbiamo introdotto la figura del pedagogista come anello di
congiunzione tra queste due sfere del bisogno. L’obiettivo è far scattare e poi rafforzare l’alleanza terapeutica tra mondo della cura e mondo del paziente/caregiver.
Le cure degli stati vegetativi, così come le Cure Palliative, operano in un territorio di confine, uno spazio nel quale
spesso si apre la domanda: cosa è vita e cosa non lo è?
Più che l’elemento dello spazio, il senso di queste condizioni sta nella dimensione del tempo. Alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris – così come negli Hospice – viviamo il tempo dell’attesa, e non è facile riuscire a far comprendere a chi non attraversa per esperienza diretta questa condizione quanto sia un tempo prezioso e pieno di senso.
Situazioni che a tanti possono sembrare “non degne di vita” sono invece per chi le vive momenti densi di significati, sensazioni, emozioni. In questa sospensione della vita – o, meglio, della “vita” come la intendiamo comunemente – c’è una grande vitalità, si sviluppano canali di contatto e codici di comunicazione nuovi tra il paziente e i suoi cari. Sono sfumature sottili ma straordinarie. Prendendo in prestito una frase celebre delle Cure Palliative, “quando non c’è più niente da fare, c’è ancora tanto da fare”. Il tempo dell’attesa è quel tempo nel quale si scopre quanto si possa ancora fare.
Cosa c’è, soprattutto, “da fare”?
Il tempo dell’attesa, per noi, è in funzione di un risveglio: un risveglio auspicato, sperato e una speranza che ovviamente vuole sempre esserci. Nel 20% dei casi questo non succede. Ma nell’80% questo risveglio avviene e anche se spesso porta con sé delle disabilità lievi o più o meno gravi consente di costruire dei percorsi di vita cui sia garantita la miglior qualità possibile. Come nelle Cure Palliative, anche il nostro impegno non è rivolto al “guarire”, ma al dare qualità alla vita, valorizzare le potenzialità residue, poche o tante che siano. Tra le persone passate da noi abbiamo campioni Paralimpici, così come chi ha dovuto ricalibrare il proprio stile di vita in altri modi. Guardando l’insieme di queste storie ci accorgiamo di quanto vada ripensato, a livello culturale, il tema del limite, perché molto spesso i limiti sono negli occhi di chi li guarda. Il nostro sforzo è fare in modo che l’asticella del limite si alzi sempre di più: con grande piacere stiamo vedendo che questa spinta, questo non accontentarsi che fino a qualche anno fa era un atteggiamento promosso dalle associazioni, dal non profit, ora è diffuso anche tra i clinici. Significa che i due mondi, quando abbiamo iniziato distantissimi, si sono straordinariamente avvicinati e interagiscono, condividono traguardi e competenze, hanno trovato un linguaggio per tracciare insieme progetti di vita che guardano al bene della persona e della sua famiglia.