Incontri

Un pezzettino di anima donato agli altri

Cantante lirica che ha calcato le scene dei più importanti teatri del mondo, ha fatto il suo esordio con Luciano Pavarotti all’Opera di San Diego come Mimì ne la Bohéme. Americana, ma ormai con radici in Italia, Madelyn Renée è stata la protagonista della serata celebrativa dei 20 anni dell’Associazione Amici della Fondazione Hospice Seràgnoli svoltasi l’8 maggio nella suggestiva cornice dell’Oratorio di San Filippo Neri. Un’occasione per emozionare attraverso le arie più famose del suo repertorio, ma anche per un dialogo sulla relazione tra musica e cura. Un tema profondo, ma leggero, con il soffio di un’anima…

Madelyn, uscendo dalle categorie, dai generi, dalle epoche: che cos’è, per lei, il canto?
Il canto è un atto di condivisione. È un dono che coltiviamo non per noi, ma per gli altri. La dinamica del canto è in fondo semplice, è tutta basata sul respiro, quello stesso respiro che è la fonte della nostra vita. Il cantante emette un respiro che diventa suono, fa uscire un elemento vitale e lo offre agli altri. Che cos’è questo respiro? È “solo” aria che sfiora le corde vocali e genera un suono? È un pezzettino della nostra anima che lascia il nostro corpo e diventa anima del mondo? Quale che sia la risposta a queste domande, che potrebbero portarci lontano, ci basti sentire e sapere che si tratta di qualcosa che va al di là delle definizioni razionali. Sta in questa inafferrabilità, forse, la magia che si vive quando si assiste a un’opera o si ascolta un’aria. Oppure quando si canta. C’è quell’elemento invisibile che ci lega agli altri, quella forza di vita che diventa atmosfera e stabilisce una relazione con l’altro. In questo, a pensarci bene, l’arte del canto è straordinariamente in sintonia con l’arte – io la chiamo così, perché è davvero una cosa altrettanto straordinaria – della cura, con le persone che mettono la loro bravura di medici, di infermieri, di assistenti, al servizio di chi è malato.
Il canto, così come la cura, è qualcosa che trasforma le persone. Attraverso il canto si entra in una dimensione di relazione speciale e così capita quando qualcuno si prende cura di noi.

In effetti la musica, dicono le ricerche, è un potente mezzo terapeutico.
È evidente. Il ritmo della respirazione legato al canto influisce sul benessere psico-fisico. È un fatto meccanico: il controllo della respirazione che si mette in atto per poter cantare facilita il rilassamento di un gran numero di muscoli e migliora l’ossigenazione del sangue; questa combinazione di fattori abbassa il cortisolo e porta a una riduzione del livello di stress, della sensazione di fatica, della percezione della sofferenza e della paura.
Non per niente in Italia avete il motto: “canta che ti passa”. Non solo perché cantare mette sempre allegria, anche quando magari la canzone è triste, ma perché produce effettivamente un beneficio sul corpo. Ma c’è di più, naturalmente. Si tratta di un aspetto più profondo. La musica, l’armonia del canto, sono un “metalinguaggio”che arriva là dove le parole nella loro forma razionale di linguaggio non riescono a penetrare. Attiva alcune aree della nostra percezione, del nostro cervello, che altrimenti non si accendono e si deposita in una parte profonda della memoria.
Lo vediamo con i bambini, ai quali da piccoli per far imparare l’alfabeto o i giorni della settimana cantiamo filastrocche ritmate che si depositano nella memoria e stanno lì per anni, per sempre. Lo sperimentiamo anche con gli anziani, per esempio con i malati di Alzheimer, che anche quando hanno ormai smarrito gli altri canali di comunicazione riescono a entrare in relazione grazie a una canzone che cantavano da giovani, a una musica che ascoltavano da piccoli. Ascoltando una melodia del loro passato si riaccendono all’improvviso. È straordinario pensare a dove vada a finire, dentro di noi, tutto quel patrimonio di armonie che assorbiamo nel corso della vita e che il genere umano ha memorizzato lungo la sua evoluzione. La voce, e poi il canto, è stata una delle più antiche e primitive forme di comunicazione, pensiamo ai canti religiosi, ai canti dei guerrieri… è lo strumento che ha plasmato il nostro DNA.

Proseguendo nell’analogia, quali sono gli elementi che avvicinano la sua professione a quelle di chi si dedica ai mestieri della cura?
La prima cosa è sicuramente la passione. Cantare, come curare, deve essere un atto di passione profonda, non può essere solo un mestiere. Altrimenti non funziona: lo capisci subito tu e lo percepiscono immediatamente anche gli altri. Il secondo elemento è l’immedesimazione, l’empatia. Quando salgo su un palco io non devo solo “interpretare” un personaggio all’interno di una storia. Devo immedesimarmi, devo sentire quel personaggio dentro di me, provare le sensazioni che percepiva in quella parte della storia, devo mettermi nei suoi panni, come si suol dire, non solo indossare i suoi costumi. Sentire la sua felicità, i suoi sogni, le sue paure, la sua disperazione. Questo mettersi nei panni dell’altro credo sia la cosa più importante anche per chi cura. L’aspetto straordinario è che questo processo di immedesimazione aiuta a conoscere ogni volta un pezzettino in più di te stessa, ti svela aspetti del tuo essere che non pensavi di avere o di poter raggiungere.

La Fondazione Hospice Seràgnoli ha appena inaugurato un Hospice Pediatrico che accoglierà entro l’anno i primi piccoli pazienti. Voliamo con la fantasia: quale tra i suoi diversi personaggi, tra le tante donne che ha interpretato nella sua carriera, sarebbe secondo lei la più indicata per regalare ai bimbi dell’hospice uno di quei momenti di magia cui accennava all’inizio della chiacchierata?
È incredibile la meraviglia che, dal palco, vedo negli occhi dei bambini che vengono a teatro. Vivono l’opera in modo speciale, diretto, emotivo. Sapendo questo, la domanda che mi fa è davvero molto difficile. Se dovessi sceglierne una, direi Pamina, la fanciulla figlia della Regina della notte, del Flauto Magico di Mozart. Una ragazza sensibile e intraprendente, che può conquistare con le sue peripezie bambine e bambini. Oppure Alina, dall’Elisir d’Amore di Donizetti, o ancora la Cenerentola di Rossini.

Intervista a

Madelyn Renée

Mezzosoprano, nata a Boston, ha debuttato nel 1980 all'Opera di San Diego ne La Bohème insieme a Luciano Pavarotti e ha calcato poi i più celebri palcoscenici del mondo.

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