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«Non dobbiamo più avere l’ossessione paralizzante della prognosi. Non parliamo più di malattie: cominciamo a parlare di condizioni, di problemi, di patologie multiple, di fragilità. La complessità dei bisogni e non la prognosi dovrebbero essere il criterio di ingresso in un programma di cure palliative specialistico. La vera sfida è definire e riconoscere la complessità». Una sfida non da poco quella lanciata da Massimo Costantini, Direttore Scientifico dell’AUSL-IRCCS S. Maria Nuova, Reggio Emilia. Poche parole che mettono a fuoco i temi più significativi per le cure palliative del futuro. Un balzo oltre le certezze acquisite da una disciplina medica in continua rivoluzione e rinnovamento, attraverso un incessante dialogo tra pratica clinica e ricerca, tra palliativisti e medici di altre specializzazioni. Si aprono infatti prospettive nuove e si amplia il campo di responsabilità delle cure palliative. Fino al punto, dice Costantini, di «non parlare più di malattie»: il paziente viene riconosciuto come portatore di un unico elemento, un bisogno. Indipendentemente dal sintomo, dalla prognosi, dall’avanzamento del suo percorso terapeutico, qualunque esso sia.
IL BISOGNO
Si parla di bisogno, ma sarebbe più corretto parlare di “bisogni”. Oggi oltre 40 milioni di persone ogni anno avrebbero necessità di cure palliative; il dato è destinato a crescere a causa dell’invecchiamento della popolazione, della prevalenza globale delle malattie non trasmissibili e della persistenza di altre malattie croniche e infettive in tutto il mondo. Non solo. Il progressivo invecchiamento della popolazione e la conseguente crescita di malattie cronico-degenerative, hanno indotto le istituzioni sanitarie di molti Paesi a considerare le cure palliative come una risposta strategica per affrontare i sempre crescenti e specifici bisogni dei pazienti con malattie inguaribili, la cui fase avanzata è caratterizzata da una graduale perdita di autonomia, dal manifestarsi di sintomi fisici e psicologici per i quali sono necessari trattamenti complessi e da una sofferenza totale che coinvolge il nucleo familiare e amicale. Da notare come non si parli più di cure palliative solo e solamente in relazione a patologie oncologiche, anzi.
Quando si allarga lo sguardo sullo scenario internazionale, ecco che la prospettiva indicata da Costantini assume ulteriore senso. Ridefinire i confini d’azione della medicina palliativa a partire dal cambiamento dei bisogni, sia quelli “sociali” sia quelli del singolo, cambia infatti tutti i parametri. Parametri dettati per esempio dal fattore tempo: qual è il momento in cui l’équipe di cure palliative deve prendere in carico il paziente? Ha ancora senso immaginare questo passaggio di consegne o bisogna piuttosto cominciare a ragionare nella logica di una collaborazione stretta – e precoce – di competenze, tra i vari specialisti, tra cui i palliativisti? Cambiano poi i parametri dettati dallo spazio.
La ridefinizione del contesto, degli scopi della medicina palliativa può avere senso solo ragionando in un’ottica globale; esperienze, buone pratiche cliniche, attività di ricerca e di formazione devono essere esperienze condivise a livello internazionale. Non a caso questo passo in avanti delle cure palliative ha preso il via dalla ridefinizione del contesto e dalla messa al centro del tema del bisogno, operata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002, che amplia il campo rispetto al tema del controllo del dolore. Cresciuta (o, meglio, costretta a crescere) come “ancella” dell’oncologia, la medicina palliativa allarga i propri orizzonti. Il paziente, nella nuova prospettiva, non è più un portatore di patologia (o patologie), ma un portatore di bisogni.
IL TEMPO
Lavorare sul bisogno rompe gli schemi, ridisegna il paradigma. Andare oltre il limite e il confine della patologia e della prognosi significa percorrere davvero (e finalmente) la strada della personalizzazione della cura. «Dal punto di vista dei problemi del paziente i confini tra le patologie non esistono», osserva ancora Costantini, in quanto a prescindere dalla patologia e dal suo stato di avanzamento gli elementi che intervengono a peggiorare la qualità della vita del paziente (e della sua cerchia familiare) vanno oltre, sono indipendenti dalla diagnosi. Vengono così meno anche alcuni luoghi comuni: che significato ha, in questa prospettiva, la definizione di “malato terminale”? Quando inizia questo “termine” se non è più segnato dal fallimento dell’ennesimo ciclo di chemioterapia? Addirittura, diventa molto aleatorio parlare di “ ne vita” e si torna finalmente a ri-parlare di vita, della vita di ogni singolo giorno di ogni singolo paziente che manifesti un bisogno che sia fisico, psicologico o spirituale. «Dall’urgenza dei bisogni, siamo passati all’importanza dei bisogni», sintetizza magistralmente Eduardo Bruera, direttore del Dipartimento di Cure Palliative alla MD Anderson Cancer Center di Houston.
IL RUOLO DEL MEDICO
Una sfida, tante sfide. C’è la sfida intellettuale di comprendere questo cambio di prospettiva e c’è la sfida professionale e organizzativa dell’essere medico palliativista. I palliativisti non sono più coloro che arrivano “dopo”, quando lo specialista ha fatto tutto il possibile e deve arrendersi. Non devono più lottare per anticipare la presa in carico. Soprattutto, il paziente non è più un “oggetto” che passa di mano, da professionista a professionista, a seconda delle fasi di progresso della malattia, lungo una parabola discendente. Ma sono ora i professionisti, a seconda delle competenze necessarie per quello specifico paziente, in quello specifico momento, che si riorganizzano intorno ai suoi bisogni, o rendo un modello di cure palliative integrato, in una fase precoce della malattia, addirittura fin dalla diagnosi. Un cambiamento che tocca tutto il contesto sanitario-assistenziale. Come è stato più volte sottolineato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, le cure palliative rappresentano l’esempio migliore di “cura integrata” al servizio della persona e possono contaminare con le proprie modalità l’intero sistema sanitario, portando a una trasformazione culturale. Una sfida intellettuale e umana, che per questo, osserva David Clark docente di Sociologia medica dell’Università di Glasgow, «impegna le cure palliative a essere qualcosa più di una specializzazione medica: sono un movimento sociale. L’affermazione della loro filosofia di approccio al paziente può far crescere la società e renderla migliore».
UN EBOOK PER APPROFONDIRE
Le riflessioni di Massimo Costantini sui nuovi e futuri scenari delle cure palliative che hanno ispirato i contenuti di questo articolo sono state riprese dalla Lectio Magistralis Sfide e opportunità delle cure palliative moderne che il palliativista ha tenuto in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi degli studenti dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa (ASMEPA) lo scorso marzo 2017. La lectio è stata pubblicata da ASMEPA Edizioni ed è disponibile gratuitamente, come molte altre pubblicazioni della casa editrice, anche in formato ebook sul sito www.AsmepaEdizioni.it