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Se è vero che le cure palliative rappresentano per molti aspetti una disciplina di frontiera, qui ci troviamo nella terra di mezzo tra due confini, la no man’s land pochissimo esplorata dei bisogni di pazienti “lungo sopravviventi con malattie gravate da forte disabilità e cronicità complessa” che varcano la soglia delle cure palliative pediatriche per entrare nella sfera adulta. Un passaggio delicatissimo che costituisce il campo di lavoro della cosiddetta transitional care.
Data la complessità della condizione di questi pazienti, molto spesso neurologici e privi di capacità comunicativa, la definizione di quale sia l’età adatta al passaggio sfugge a ogni standardizzazione e per questo l’ambito della transitional care si rivolge a una fascia d’età molto ampia, che va dai 13 ai 25 anni. Allo stesso modo, è ancora in itinere la definizione di protocolli per strutturare il passaggio tra le due aree di competenza: come garantire che sia una transizione e non un salto nel vuoto?
«Più che presidiare una terra di confine, stiamo costruendo un ponte», dice Lucia De Zen, pediatra e Responsabile del Centro di riferimento regionale del Friuli-Venezia Giulia per la Terapia del dolore e le Cure Palliative Pediatriche.
«Su una sponda le cure palliative pediatriche, che hanno accolto e accompagnato il bambino per anni imparando a conoscerne bisogni e potenzialità; sull’altra le cure palliative per l’adulto, con al centro i bisogni di pazienti che hanno aspettative, di cura e vita, completamente diverse: costruire una campata sicura che i giovani adulti possano percorrere con le loro famiglie trovando accolti desideri e bisogni, è l’obiettivo del cantiere che abbiamo avviato».
Tra i palliativisti pediatrici impegnati in questo progetto si percepisce l’urgenza di affrontare una novità in qualche modo non prevista, chiamata a elaborare risposte sanitarie e socio-assistenziali complesse, capaci di definire approcci, metodi, standard e pratiche in linea con l’urgenza della domanda. «Negli ultimi decenni si è manifestato per la prima volta un fenomeno quantitativamente inedito: medicina e tecnologie hanno allungato le traiettorie di vita di un numero sempre crescente di pazienti che, mentre prima non superavano l’età pediatrica – ora diventano adolescenti e poi giovani adulti: si pone così la questione del loro passaggio al sistema di cura adulto, che però si trova per lo più impreparato», spiega Sergio Amarri, Responsabile medico del servizio di Day Care regionale di Cure Palliative Pediatriche della Fondazione Hospice MT. Chiantore Seràgnoli.
Il tema fondamentale è che sui due lati di questo ponte-frontiera si parla la stessa lingua ma “con inflessioni diverse” e quindi, pur esistendo una sintonia di fondo (la presa in carico globale, la multidisciplinarietà dell’approccio ai bisogni, il lavoro d’équipe…), vi sono sfumature e differenze che richiedono una collaborazione diversa dal semplice passaggio di consegne.
In particolare, l’aspetto peculiare delle cure palliative pediatriche riguarda le cosiddette “lunghe traiettorie di vita”, cui i professionisti dedicati agli adulti – che gestiscono storie di malattia molto brevi, per lo più oncologiche e in fase terminale – non sono abituati. Un elemento che ha implicazioni sia rispetto alle competenze richieste ai singoli palliativisti sia alle équipe per adulto in cui lavorano. Di più: si tratta di un tema che non riguarda solo l’ambito della cura, ma tutta la rete socio-assistenziale territoriale. «Per esempio, fino ai 18 anni anagrafici del paziente sono garantiti i servizi legati alla neuropsichiatria infantile dell’adolescenza (neuropsichiatra, fisioterapista, logopedista, fisiatra, educatore…)», spiega Amarri, «e una volta compiuti i 18 anni, improvvisamente non esiste a livello territoriale una rete per giovani adulti con caratteristiche di bisogno complesse, decisamente più vicine a quelle dei bambini che degli adulti. La rete delle cure palliative supplisce oggi a questo vuoto, aiutando a costruire con pazienza sartoriale, insieme agli specialisti ospedalieri, ai servizi territoriali, al Medico di Medicina Generale che è subentrato al Pediatra di Libera Scelta, una rete di risposte nuove».
Come si diventa sarti esperti in quest’opera di ricucitura? La risposta sta nel DNA della medicina palliativa:
«Multidisciplinarietà, capacità di lavoro in team, approccio olistico alla persona, personalizzazione della cura fanno dei palliativisti i professionisti che meglio possono comprendere e gestire le transizioni dei pazienti, fasi di passaggio che non sono mai cut-off dettati dal dato anagrafico, ma si realizzano con un percorso di affiancamento progressivo tra professionisti pediatrici e adulti che può durare anche anni»
spiega De Zen. «Insieme alle famiglie si comincia questo accompagnamento a partire dai 15-16 anni, introducendo via via specialisti che si occupano dei diversi bisogni dell’età adulta. Il passaggio è un momento destabilizzante per genitori e caregiver, perché vengono meno i riferimenti abituali che li accompagnano fin dalla nascita. Non possono esserci vuoti e nemmeno forzature, date prefissate. La collaborazione tra équipe pediatrica e adulta ha bisogno di armonia: le visite e gli incontri si gestiscono insieme. La famiglia deve vedere e sentire che è in atto un cambiamento, ma nella continuità».
De Zen ammette che la sua visione su questo delicatissimo passaggio è improntata all’ottimismo, perché nella pratica molto dipende da fattori profondamente diversi tra loro, dal livello di strutturazione delle reti territoriali di cure palliative, o più semplicemente dal numero di medici palliativisti in campo, sempre esiguo rispetto al crescere del bisogno: «la difficoltà nel gestire le transizioni in maniera ottimale per concreta carenza di persone o tempo a disposizione è fonte di grande stress nelle équipe di cure palliative pediatriche», conferma, «che quindi tendono a mantenere la presa in carico dei giovani adulti il più a lungo possibile».
«Con l’attivazione, a inizio 2022, del servizio di Day Care di Cure Palliative Pediatriche, l’apertura prossima dell’Hospice Pediatrico e i tre Hospice per adulti in pieno funzionamento, la Fondazione Hospice è in una posizione privilegiata in termini di strumenti e competenze per rispondere con un continuum armonico alla sfida della transitional care: offrire il setting migliore o la professionalità più rispondente al bisogno del paziente, indipendentemente dalla sua età anagrafica», sottolinea Amarri.
«Rappresentiamo una palestra speciale all’interno della quale mettere a punto forme e percorsi che possano diventare di riferimento in un ambito ancora nuovo in Italia e con pochi modelli di comparazione nel mondo. Abbiamo il privilegio prezioso, anche in termini organizzativi, di poter innestare con facilità competenze pediatriche nel flusso di lavoro dei palliativisti adulti, così come portare competenze più specifiche delle équipe adulte nelle attività pediatriche, tra queste la gestione del dolore o del fine vita». Modelli virtuosi da far crescere e mettere a disposizione delle famiglie che oggi, «anziché un ponte, si trovano di fronte un burrone».
La capacità di far bene in questo cantiere in fieri «è legata alle risorse umane disponibili», dice De Zen. «Le équipe di cure palliative pediatriche attive non sono molte e i medici palliativisti dell’adulto sono pochi rispetto ai “grandi adulti” già in carico al servizio. Integrare la gestione dei giovani adulti diventa quindi uno stress test per il sistema. L’aspetto positivo è dato dalla capacità di fare squadra, insita nelle équipe di cure palliative. Il confronto continuo e la condivisione di esperienze diventano patrimonio comune nel diffondere e portare a crescita buoni modelli di cura, a beneficio di un passaggio armonico ed efficace tra età pediatrica e mondo adulto».
«La necessità, per i professionisti che sono coinvolti nella cura dei bambini ad alta complessità assistenziale e delle loro famiglie, di dare risposte alle esigenze sempre nuove rappresenta uno stimolo al rinnovamento continuo per chi si occupa di formazione”, spiega Monica Beccaro, Responsabile delle attività dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa (ASMEPA) braccio formativo della Fondazione Hospice Seràgnoli.
Una capacità di evoluzione che emerge anche osservando le novità che via via entrano nei Master di I e II livello in Cure Palliative Pediatriche proposti da ASMEPA, in collaborazione con Alma Mater – Università di Bologna, percorsi di formazione biennali (a dicembre si conclude il primo anno dell’edizione in corso): «Particolare attenzione è stata posta al rafforzamento delle competenze Umanistico-Sociali», prosegue Beccaro, «come quelle legate all’interculturalità – in risposta ai mutamenti sociali in atto che riguardano sempre più bambini e famiglie –, quelle riferite alla sfera dei bisogni spirituali ed esistenziali, con particolare attenzione agli adolescenti, o alla terapia ricreativa, che coinvolge oltre ai piccoli pazienti anche le famiglie, le sorelline e i fratellini».