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La parola su cui ritorna è “narrazione”. Che è qualcosa di estremamente diverso dalla “comunicazione” o dalla “informazione”, «attività cui molto spesso i medici si limitano, ovvero “informare” il malato o il caregiver, fornendo semplicemente comunicazione del suo stato di salute o di malattia». Se non ci si mette in ascolto di quanto la persona in quel momento e in quella situazione sia disposta a recepire e di quale sia il suo stato d’animo, l’informazione – pur tecnicamente ineccepibile – diventa violenza».
Nella visione di Sandro Spinsanti, psicologo, teologo e fautore della “medicina narrativa”, il rapporto comunicativo tra curante e paziente più che uno strumento è uno spazio, un luogo di incontro tra narrazioni: quella del medico, certo, ma anche – e a parità di peso e valore – quella del paziente. «La scienza biologica sta lavorando per cercare, con i suoi strumenti – genetica ed epigenetica – di individuare le migliori risorse diagnostiche e terapeutiche per il singolo organismo; oggi dobbiamo affiancarle un nuovo concetto di medicina, che vada al di là del lascito ippocratico: la medicina narrativa. Una relazione tra medico e paziente che favorisce, con la narrazione, una cura modellata sulla biografia individuale».
Istituzionalizzare la narrazione dal punto di vista del paziente attraverso uno spazio dedicato al dialogo non è solo sintomo di attenzione all’elemento umano, apertura empatica che rompe la rigidità “tecnica” tra medico e paziente, ma diventa essa stessa strumento di cura. «La persona assistita entra nel processo di cura in modo diverso dal medico: questi porta il suo sapere e la sua volontà di fare il bene del paziente, decide “in scienza e coscienza”; il malato porta il suo vissuto di malattia, le emozioni, le aspettative, i propri valori e preferenze. Dall’incontro dei due punti di vista nasce la cura condivisa e la narrazione è lo strumento per realizzarla. Un approccio che è chiamato a un siderale salto di qualità quando i pazienti in questione sono dei bambini, perché questo nuovo modello di relazione non riguarda più solo medico e paziente, ma si allarga alla sfera della famiglia, di chi vive la doppia condizione, fisicamente e psicologicamente faticosa, di genitore e caregiver. «Il conflitto tra l’emotività e la razionalità dei genitori i cui figli vivono una situazione di malattia grave spinge in maniera irragionevole – pur umanamente comprensibilissima – a proseguire le cure e a non accettare le cure palliative. È questo lo spazio di più alta espressione del valore della narrazione, quello all’interno del quale la capacità di ascolto e di comunicazione diventa cruciale, luogo di incontro nel quale medico e genitori comprendono quale sia il bene per il paziente. Non è possibile a chiedere ai genitori “una decisione”, senza incontrarsi e scontrarsi con le loro ragioni e la loro emotività».
Articolo tratto dalla lecture di Sandro Spinsanti «Scegliere in Cure Palliative Pediatriche: la “conversazione” come luogo di incontro» tenutasi all’interno della Sessione Scientifica della Fondazione Hospice al Congresso SICP 2020 e moderata da Monica Beccaro, Responsabile ASMEPA.