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Ildegarda di Bingen, monaca benedettina e mistica tedesca dell’XI secolo, oltre che “guaritrice” (a quel tempo, le donne non potevano certo studiare da medico…) diceva: «Date all’uomo un cane e la sua anima sarà guarita». Al fedele amico dell’uomo suggerito dalla Santa si possono oggi aggiungere anche gatti, conigli, porcellini d’india, o addirittura asini, cavalli e, se pur non molto diffusi alle nostre latitudini, anche lama o alpaca, i pazienti ruminanti delle distese andine. Più che la tipologia di quadrupede, ciò che qui interessa è portare l’attenzione sulla sfumatura che già più di mille anni fa si dava a quella che oggi chiamiamo pet therapy o, tecnicamente, «intervento assistito con gli animali», ossia la convinzione che il rapporto con l’animale porti un beneficio all’anima, indipendentemente dagli acciacchi o meno del corpo.
Proprio l’obiettivo di «guarire l’anima», per usare le parole della Santa, è la principale motivazione delle numerose discipline che nei luoghi di cura, hospice compresi, hanno via via cominciato ad affiancare gli approcci medicofarmaceutico-assistenziali e che possono essere comprese sotto la macro categoria delle terapie complementari: oltre alla pet therapy anche l’ampia gamma delle terapie espressive (musicoterapia, arteterapia, danza o movimentoterapia e fototerapia), delle terapie di manipolazione corporea (dal massaggio al reiki), fino alle cosiddette pratiche corpo-mente: l’ipnosi, la meditazione, i movimenti meditativi, lo yoga. Ambiti e discipline diversissime, ciascuna con una propria specificità e un proprio standard di misurazione sperimentale del beneficio sul paziente, ma nel complesso tutte unite da una medesima caratteristica: attivare tra paziente e operatore sanitario un canale di comunicazione nuovo e diverso, che passa per i sensi più che per la razionalità e consente l’accesso a nuovi piani di relazione. Pur nella loro varietà, le terapie complementari sono strumenti di dialogo capaci non solo di rimettere in contatto il paziente con la sua anima e la sua corporalità (accarezzare un animale e sentirne il calore, ma anche compiere la sequenza millenaria di un esercizio yoga, o la nenia interiore dei movimenti meditativi, o ancora chiudere gli occhi e compiere il viaggio sensoriale dell’aromaterapia), ma anche aprirlo o ri-aprirlo al contatto con l’altro, con l’operatore specializzato che propone la terapia e, se presenti, anche con i famigliari e con altri membri dell’équipe di cura. Come sottolineato dalla letteratura scientifica sul tema, le terapie complementari utilizzate nell’ambito delle cure palliative mirano ad alleviare i sintomi della malattia e contribuiscono a ridurre gli effetti collaterali associati ai trattamenti farmacologici convenzionali. Esse sono impiegate come utile ausilio nella cura in particolare per gestire il dolore, dare sollievo e migliorare la qualità della vita. Inoltre, vengono utilizzate con lo scopo di ricevere conforto ed allentare così l’ansia e la disperazione di fronte ai pensieri di morte.
All’interno di questo quadro generale, ogni disciplina ha poi caratteristiche ed effetti specifici. Attraverso l’arteterapia, per esempio, l’approccio al manufatto artistico, la scelta del materiale o del colore, il dare forma ai pensieri su un foglio o con un impasto di creta sono spesso la via migliore per far emergere il non detto della sofferenza interiore (tecnicamente si dice: «far emergere un contenuto emotivo»). D’altro lato, una seduta di danzaterapia offre la possibilità di attivare precisi sistemi di osservazione e decodificazione del movimento: alcune sequenze, che provengono da sensazioni o memorie corporee, possono infatti essere riesaminate chiedendo al paziente di catturarle, ripeterle e riproporle, permettendo così un lavoro graduale sulla memoria somatica. Se è vero che le cure palliative sono mosse da un approccio complessivo alla persona, ecco che attraverso le terapie complementari si riesce a dare voce, colore, movimento a quegli spazi del vissuto e della personalità che nessun esame medico, per quanto preciso, potrà mai evidenziare.