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Le persone con malattie croniche progressive presentano bisogni assistenziali che le cure palliative spesso non riescono ancora a intercettare. Sebbene negli USA ormai il 60% dei pazienti che accedono agli hospice presentino malattie non oncologiche, un numero ancora molto elevato muore nei reparti per acuti. In Italia questi pazienti sono meno del 15% di quelli in carico al programma di cure palliative. Le ragioni sono molteplici: traiettorie di malattia molto diverse da quella del cancro, non conoscenza da parte dei medici specialisti delle finalità e del modello di organizzazione delle cure palliative, impatto della tecnologia medica nella gestione del percorso di malattia, spesso prognosi difficili da formulare con conseguente ritardo nella comunicazione al paziente e alla sua famiglia, ma anche la scarsa conoscenza da parte dei palliativisti delle problematiche legate alla malattie diverse dal cancro.
Nelle malattie non oncologiche è l’intensità del bisogno e non la cronologia temporale verso la terminalità che deve determinare l’intervento del palliativista. Nella malattia non oncologica sono i cosiddetti trigger point (i momenti critici) che si presentano nel percorso di cura a dover determinare l’intervento del palliativista, che può presentare maggiori conoscenze e competenze nell’affrontare le criticità. Ad esempio: la comunicazione della “cattiva notizia”, la presenza di sintomi difficili da gestire, la pianificazione condivisa delle cure, la raccolta delle disposizioni anticipate di trattamento, la scelta del luogo di cura più aderente alle scelte del malato. Per arrivare a questo, l’équipe di cure palliative deve a sua volta acquisire conoscenze e competenze tecniche di cui prima non disponeva. Il confronto con i diversi medici specialisti, il personale infermieristico che conosce già i bisogni assistenziali dei pazienti e il personale tecnico (come fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, tecnici degli ausili per la respirazione, dietisti) rappresentano un importante cambiamento nel modo di lavorare, in un contesto dove il malato è realmente al centro dell’assistenza e attorno al quale si crea una rete di strutture e di professionisti che hanno il compito di alleviarne la sofferenza.
Il primo problema è rappresentato dal divario culturale: lo specialista d’organo spesso pensa che le cure palliative si addicano al malato con cancro o alla fine della vita e solo raramente, quando hanno di fronte un malato cui non riescono più a dare risposte cliniche, si rivolgono al palliativista. Un primo intervento auspicabile, quindi, è che le cure palliative escano dagli hospice ed entrino negli ospedali, come d’altronde le diverse normative ormai indicano. La loro presenza però deve essere “attiva”, sfruttando le opportunità che si presentano quando viene segnalato un caso, per dimostrare nella pratica la nostra filosofia di approccio e cura visitando e parlando con il paziente, esplorando il suo livello di consapevolezza e le sue aspettative, dialogando con i familiari… Il palliativista deve proporre ai colleghi momenti di confronto e audit clinico per i casi complessi e difficili che si sono presentati. In parole semplici, deve esserci.
Per i bisogni del malato neurologico dallo scorso anno è stato organizzato un tavolo inter-societario tra SIN (Società Italiana di Neurologia) e SICP (Società Italiana di Cure Palliative) che ha come scopo quello analizzare, discutere e allestire un percorso di Cure Palliative Simultanee precoci per alcune malattie neurologiche: SLA, Sclerosi Multipla, Demenze, Malattia di Parkinson e parkinsonismi, stroke. Per ciascuna di queste malattie si sono formati gruppi di lavoro di neurologi e palliativisti e si è deciso di lavorare sui trigger point che caratterizzano il loro percorso, a partire dalla diagnosi (comunicare una diagnosi di SLA presenta aspetti molto diversi rispetto alla malattia di Parkinson o demenza). Nella mia esperienza, in quanto componente di questo tavolo, si sta procedendo con grande impegno ad analizzare le diverse criticità e quali interventi sarebbero necessari per la gestione delle stesse.
Per rispondere a questa domanda inizio con l’usare il termine “contaminazione”, che è composta da diversi strumenti: la formazione esperienziale secondo i principi dell’andragogia (teoria dell’apprendimento e dell’educazione degli adulti ndr) e il lavoro fianco a fianco di tutti coloro che hanno in cura il malato; la ricerca scientifica da produrre anche con lo scopo di arricchire le conoscenze che rappresenteranno il core delle nuove scuole di specialità in cure palliative nelle diverse Università italiane; la sensibilizzazione del mondo sanitario e della popolazione in merito al fatto che le cure palliative non sono esclusivamente rivolte ai morenti, ma che si fanno carico del dolore totale. Nelle nostre cure devono entrare anche le medicine integrate quali la musicoterapia, l’arteterapia, la pet therapy, le cure estetiche, la terapia della dignità nelle sue diverse forme e articolazioni. E, per finire, servono campagne di sensibilizzazione alla popolazione e supporto alle diverse iniziative che promuovano la diffusione della cultura delle cure palliative; in quest’ambito il terzo settore svolge un ruolo fondamentale.
La Fondazione Hospice Seràgnoli da due anni accoglie nei propri hospice anche pazienti con malattie croniche in fase avanzata, seguiti da équipe di professionisti che hanno ricevuto una formazione specifica per rispondere ai bisogni di questi pazienti.
Per informazioni sulla presa in carico di pazienti non oncologici, contattare il numero: 051 8909611.