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«A otto anni mi sono ripromessa che, cascasse il mondo, sarei diventata una disegnatrice e scrittrice di storie».
Tra i tanti racconti illustrati che portano la firma di Beatrice Alemagna, la storia nella quale la fantasia segue il filo di una solida idea di realtà, è proprio quella della sua vita. Beatrice Alemagna è una delle autrici italiane di libri per bambini tra le più note e apprezzate anche all’estero. Un diventare adulta che non l’ha allontanata da quella “passione bambina” per la leggerezza e i colori che introducono alla vita, magico meccanismo della letteratura per l’infanzia.
Un mondo meraviglioso e colorato, morbido e delicato che accompagna la crescita e fa volare la fantasia, ma al contempo prepara alle tante realtà di questa esistenza a volte tristi, dolorose, incomprensibili, come per esempio le storie – purtroppo reali – di tanti bambini costretti a una vita di malattia.
All’interno di una esperienza dura e difficile, come quella della malattia di un bambino, una storia ha in qualche modo una “funzione terapeutica”?
Credo e spero assolutamente di sì. Non solo perché ha la forza di distrarre il bambino che soffre, regalando risate, sogni o semplicemente pensieri nuovi, ma anche perché credo sia soprattutto il momento di lettura ad essere terapeutico. È un tempo utilizzato in un raccoglimento condiviso: l’adulto e il bambino che si immergono in una narrazione comune, si abbandonano e vengono coinvolti insieme dal ritmo delle parole, dalla loro musica, ma anche dal silenzio delle pause… sono momenti preziosi. Regalano la dolcezza di lasciarsi trasportare per qualche minuto in un’altra vita, dentro altri pensieri. Far scivolare il bambino in una storia significa permettergli di continuare questa stessa storia anche dopo o, meglio, di trovarne altre tra le sue idee. Una via di fuga nella fantasia che supera gli impedimenti, i momenti più difficili.
Come si fa a raccontare il dolore? Quali sono i codici, le forme, i colori dell’infanzia che soffre?Questo non so proprio dirlo. Forse lo si racconta senza raccontarlo, lo si racconta portando altrove il lettore che soffre. Con delicatezza e con sensibilità, mettendoci dentro una forma di speranza, una piccola luce. Io non ho mai raccontato una vera grande sofferenza nei miei testi, non mi sono mai sentita all’altezza e ho sempre creduto che fosse meglio lasciarlo fare ai grandissimi scrittori. Il grande rischio è quello di diventare facilmente banali o, peggio, melensi o peggio, banali.
Comunicare con i bambini è un’arte complicata. Quali sono gli elementi che mettono in sintonia con i piccoli lettori?
Non credo sia una questione di elementi del libro in sé, ma semplicemente di condivisione. Riuscire a condividere una storia con un bambino può variare molto in funzione dell’ascoltatore e dunque credo sia responsabilità di chi fa da tramite, del genitore o del lettore adulto, capire chi si ha davanti, la sua maniera unica di ascoltare e come trasmettere un’emozione. A me è capitato di condividere libri difficili con bambini anche molto piccoli. La voce stessa diventa il primo strumento importante del libro.
I libri per l’infanzia sono un potente strumento di comunicazione tra adulti e bambini: i genitori che leggono la favola della buona notte, gli insegnanti degli asili e delle scuole primarie… Lei avverte questa funzione di “mediazione” tra mondo adulto e mondo dei piccoli?
Moltissimo. Non solo la avverto, ma la considero anche importantissima. Quando creo un libro per bambini penso sempre anche agli adulti che lo avranno tra le mani. Un adulto annoiato è un adulto incapace di comunicare interesse al piccolo che lo ascolta. bambini comunicano principalmente attraverso “strumenti artistici”: il disegno, il canto, il ballo…
Da artista, cosa impara e ha imparato guardando i bambini?
Può sembrare banale, ma credo di avere imparato (o semplicemente ritrovato) l’incanto, la magia dello sguardo sul mondo, dove tutto è grandissimo e ha un’intensità violenta e abbacinante. Quel modo che hanno solo i bambini di abitare l’istante presente e l’eternità, di chiedere presenza e assenza e di rendere bellissimi i silenzi e le parole, il pieno e il vuoto, l’essere e il nulla. Trovo che il nulla (temporale) sia importantissimo per i bambini, mentre angoscia spesso gli adulti.
Racconta di aver scelto questa strada fin da piccola, “conquistata” dagli eroi disegnati della sua infanzia. L’evoluzione tecnologica di questo breve giro d’anni ha cambiato l’immaginario visivo dei bambini? Come?
Senz’altro ogni momento storico con la sua parte di tecnologie e scoperte, avanzamenti e stimoli rinnovati, influisce direttamente sulle persone, e, maggiormente, su quelle piccole, avide di conoscenza e scoperte. Credo però si possa preservare ancora oggi l’attenzione alle piccole cose, la sorpresa verso gli stati d’animo, l’emozione davanti a una storia coinvolgente o semplicemente il divertimento puro di fronte a un personaggio veramente divertente. Le mie figlie sono nate tra il 2011 e il 2016 e adorano Pippi Calzelunghe, che è nata nel 1945 e che era già un’eroina della mia infanzia. E resiste, nonostante siamo entrati nell’epoca di Tik Tok e del metaverso…