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La fotografia della situazione sta nei numeri. Sono 21,6 milioni i bambini che, nel mondo, necessitano di cure palliative. Solo una percentuale ridottissima di loro, tra il 5 e il 10%, può avervi accesso. Il 65% dei Paesi nel mondo non ha nessuna attività, né pubblica né privata, legata alle cure palliative pediatriche. Numeri che, per di più, vanno calati nei diversi contesti sociali: nel Regno Unito mediamente hanno bisogno di cure palliative 32 bambini su 10mila; in Zimbabwe sono 100 su 10mila. È evidente come siano necessari modelli di approccio differente. «Se l’accesso alla gestione del dolore e alle cure palliative è uno dei diritti umani inviolabili, il 90% dei bambini nel mondo oggi vede negato questo diritto». Prima della scienza medica, è la scienza statistica quella che Julia Downing mette in campo nel presentare lo scenario su cui si muove la sda della diffusione e dell’accesso alle cure palliative pediatriche a livello globale. Una sda che impegna Julia ogni giorno e che la porta spesso in Italia, anche presso l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa (ASMEPA), per trasmettere la sua esperienza ai diversi professionisti medico-sanitari italiani. Infermiera, Julia Downing è Direttrice dell’International
Children’s Palliative Care Network (ICPCN), che ha il ruolo di sviluppare e promuovere le cure palliative pediatriche in tutto il mondo, e nella sua carriera è stata responsabile dello sviluppo di diversi progetti di reti di cure palliative nell’Africa Subsahariana e nei Paesi della ex Jugoslavia.
Un’attività sul campo che Julia Downing aanca a un’instancabile impegno sul fronte della diffusione della cultura delle cure palliative pediatriche in diversi contesti, istituzionali, pubblici, privati. «Quando si parla di cure palliative, e di cure palliative per i bambini, le persone pensano alla morte e al morire. L’impegno più urgente è far capire alle persone che il nostro tema è “il vivere”, garantire ai bambini che stanno attraversando un percorso di malattia grave o cronica la migliore qualità di vita possibile. Come professionisti sanitari, dobbiamo focalizzare il nostro impegno sulla capacità di gestire i sintomi e il dolore in modo che i bambini possano vivere bene. Una delle sfide delle cure palliative è cambiare la mentalità: non cure per morire bene, ma per vivere bene». Secondo la Downing, sviluppo delle strutture e dei servizi clinici e avanzamento culturale devono procedere «mano nella mano», se si desidera che le cure palliative in generale, e quelle pediatriche in particolare, possano affermarsi all’interno dei diversi contesti sociali.
Partendo da un ragionamento sui bisogni. «I bambini in condizione di malattia grave hanno bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali. Il controllo del dolore, insomma, è solo una parte del quadro di attenzioni cui un sistema di cure palliative deve provvedere. Altro elemento chiave è quello della famiglia, che è parte integrante del percorso di cure palliative, perché la famiglia va accolta, consigliata, sostenuta».
In occasione della sua ultima visita a Bologna, in ASMEPA, Julia Downing è stata chiamata anche a riflettere sul progetto della Fondazione relativo alla prossima realizzazione di un hospice pediatrico. «Un hospice pediatrico ore ai bambini e alle famiglie un luogo dove avere un’assistenza dedicata e recuperare quell’armonia della quotidianità che in situazioni di grave malattia in altri setting di cura, a domicilio o in ospedale, va a perdersi», osserva Downing. «I sintomi dei bambini sono gestiti da professionisti
in un ambiente sicuro, dove i piccoli pazienti possono sentirsi a casa e i genitori riescono a “prendersi una pausa” dalle incombenze immediate di cura, per dedicarsi meglio agli altri bisogni del loro bambino, bisogni di serenità, di svago, di
gioco, di felicità. È importante anche il ruolo che un hospice pediatrico può e deve svolgere dopo la morte del bambino, continuando a prendersi cura a livello psicologico della famiglia nella situazione post mortem».