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Deve esserci un motivo se in tutte le principali fedi che hanno accompagnato la storia dell’uomo, dall’Ebraismo al Cristianesimo, dall’Islam al Buddhismo, nonostante le differenze teologiche c’è un elemento su cui tutte concordano: l’immagine usata per rappresentare lo stato di perfetta armonia, la condizione di contatto con il divino è sempre quella di un rigoglioso giardino. L’Eden nelle sue più varie articolazioni come luogo perfetto, dove l’uomo-creatura è libero dagli affanni del suo essere mortale, dai piccoli e grandi difetti della corporeità fisica, dove incontra il divino.
Attraversando i millenni e scendendo dalle alte sfere celesti all’esperienza contemporanea, a dare una spiegazione scientifica a quell’afflato metaforico che ambienta lo stato di perfezione dell’uomo in un contesto dinatura curata sono due discipline decisamente pratiche, la medicina da un lato e l’architettura dall’altro. Entrambe dimostrano, con evidenze frutto di ricerche e sperimentazioni, quali e quanti siano i benefici fisici e psicologici che derivano dal contatto e dalla “convivenza” con un ambiente di natura curata. Riduzione della pressione sanguigna (e dello stress), miglioramento del ritmo di respirazione, un’eccitazione sensoriale (vista, olfatto, tatto) spesso inconscia che stimola endorfine e agisce come antidepressivo. Spesso, e più semplicemente, un richiamo al “bello” che contribuisce a combattere quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito senza mezzi termini Sick Building Syndrome, ovvero «malattia da edifici malsani». Perché, come già sapevano gli antichi (il filosofo Aristotele, per esempio) e il buon senso popolare, la natura curata, a sua volta, cura.
Il punto di incontro tra mondo della medicina e mondo dell’architettura ha trovato un ambito di sviluppo e di sperimentazione concreta nella realizzazione degli «healing gardens» («giardini terapeutici») e riguarda in particolare la progettazione di spazi verdi nel contesto dei luoghi di cura, ospedali, ricoveri per anziani, hospice.
Una tendenza già molto avanzata nei paesi anglosassoni e nel Nord Europa, oltre naturalmente all’Oriente (uno dei riferimenti più citati è il Khoo Teck Puat Hospital di Singapore, un ospedale-giardino completamente costruito secondo questa filosofia), e che paradossalmente in Italia – nonostante la forza della natura mediterranea e secoli di cultura del giardino, dalle corti ai monasteri – si è affermata solo negli anni più recenti.
«Il giardino terapeutico non è un semplice spazio di abbellimento di una struttura spesso fredda e intimidatoria, ma costituisce una vera e propria parte del processo di guarigione», scrive Francesca di Dato, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa in una tesi, poi pubblicata, dal titolo “I giardini terapeutici: linee guida progettuali e casi di studio. «È fondamentale che il progettista, durante la fase “creativa”, valuti attentamente ogni singola scelta perché andrà a influenzare molti soggetti tra loro differenti; non può lasciarsi troppo trasportare dai sentimenti e dai gusti personali, deve pensare che sta creando un luogo che deve servire a facilitare e migliorare la vita di qualcun altro». Questa logica sta ormai diventando un punto fermo nella progettazione delle strutture di cura e il verde, la scelta delle specie arboree e la loro disposizione, i percorsi di attraversamento e le stesse prospettive di visuale che consentono ai pazienti anche allettati o con mobilità ridotta di godere della vista del giardino, non sono più un fattore di abbellimento che si aggiunge alla progettazione, ma diventano un elemento chiave intorno al quale studiare lo sviluppo architettonico e i flussi della struttura.
Uno dei primi esempi in Italia di progettazione che risponde a questi principi ha riguardato, nel 2015, il “Giardino degli abbracci”, healing garden realizzato nell’ambito dei lavori di ristrutturazione dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, che ha visto impegnato lo staff della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Milano. Un grande spazio verde collegato alla struttura che prevede diversi tipi di fruizione, da esperienze di tipo “passivo” (guardare o stare in un giardino), fino a un coinvolgimento attivo nel e con il giardino, attraverso attività di terapia riabilitativa svolte nell’orto o nella cura dei fiori e delle piante.
Un trend che, complice l’emergenza Covid-19 e la presa di coscienza collettiva dell’importanza di ritrovare un equilibrio con spazi aperti e spazi di “natura domestica” (terrazzi, giardini, giardini di quartiere, parchi urbani) per mantenere o ritrovare il proprio benessere psico-fisico, è destinato a crescere anche nel nostro Paese. Se coltivato bene…
Da leggere, per approfondire
RESTORATIVE GARDENS. THE HEALING
LANDSCAPE
Nancy Gerlach-Spriggs, Richard Kaufman, Sam Bass Warner
Yale University Press
THERAPEUTIC GARDENS:
DESIGN FOR HEALING SPACES
Daniel Winterbottom
Timber Press
IL GIARDINO CHE CURA
Cristina Borghi
Giunti
HEALING GARDENS. THERAPEUTIC
BENEFITS AND DESIGN
RECOMMENDATIONS
Clare Cooper Marcus, Marni Barnes
John Wiley & Sons