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È sociale, con la disgregazione progressiva e rapida dei “contenitori” che hanno caratterizzato buona parte della storia dell’umanità: la famiglia, la politica, la fede… È economica, tra crisi locali e globali, nel mezzo di una trasformazione del mercato del lavoro di cui ci mancano codici e confini. Ed è personale, perché quasi tutte le certezze, le prospettive e i contesti che garantivano percorsi di vita in qualche modo chiari e preordinati si stanno via via ridefinendo, non sempre in maniera nitida.
Siamo persone fragili, in un mondo che appare sempre più di cristallo.
È l’Età del “pezzimismo”, come l’ha definita Alessandro Bergonzoni, «che manda in pezzi le persone tutte d’un pezzo». Ed è proprio sul tema bellissimo e delicato della fragilità che l’edizione 2023 di do ut do chiama alla riflessione. Lo fa come di consueto, attraverso il linguaggio dell’arte, con l’opera Fràgil realizzata dall’artista catalano Joan Crous, sei sculture in fusione di vetro indipendenti, ma in stretto dialogo reciproco. E lo fa anche con un volume che accompagna l’opera di Crous che scava, attraverso i contributi di filosofi, sociologi, storici dell’arte ed economisti, nei diversi significati della fragilità, nella sua relazione con il mondo e con l’umano. Nella sua sorprendente capacità di essere, in fondo, la risorsa di una nuova forza, la base solida di una nuova ripartenza.
Lo spiega bene Alessandra D’Innocenzo, fondatrice e presidente di do ut do, nel presentare il tema del 2023,
«se accettiamo la nostra fragilità, possiamo trasformare l’apparente vulnerabilità nel suo opposto; la storia umana lo ha dimostrato, la nostra fragilità diventa agilità consapevole, che se crea una comunità può produrre innovativi e potenti risultati, la vulnerabilità dei singoli diventa forza collettiva per difendere valori condivisi e il bene comune».
La fragilità, da elemento involutivo che rischia di frammentarci in mille schegge di vetro, ripensata in questi termini può diventare motore di un nuovo processo evolutivo. Scrive Pierpaolo Forte:
«Considerato sul piano meramente biologico, l'”animale grazioso e benigno” che siamo è talmente fragile che non dovrebbe avere speranza di sopravvivere, e non solo come individuo, ma come specie, e tuttavia siamo qui, numerosi e longevi come mai prima, potenti al punto da avere la presunzione di avvelenare il pianeta e persino lo spazio profondo con la nostra ingombrante presenza, e ritenere di essere la causa di mutazioni epocali, apocalittiche. E ciò perché della fragilità abbiamo, anzitutto preso coscienza, e poi desiderato fronteggiarla; se è vero che il desiderio è presenza di un’assenza, ciò di cui avvertiamo molta mancanza è, se non proprio l’infrangibilità, almeno una riduzione della vulnerabilità, una possibilità di difesa e di continenza».
Una relazione, quella con la consapevolezza della fragilità, che richiede un nuovo approccio alla quotidianità del nostro fare, soprattutto per coloro che, stando al sociologo Domenico De Masi che riflette sul mestiere dell’artista, fanno professioni che consistono nella
«manipolazione di materiali a loro volta fragili. Si pensi a chi manipola anime: il genitore, il maestro, il sacerdote, il padre spirituale, lo psicanalista, lo psicologo, il manager, il leader. A chi manipola corpi: il chirurgo, il medico, l’osteopata, l’estetista, lo stilista. Si pensi, infine, a chi manipola materiali fragili come il vetro o la ceramica. In ogni caso, e in varia misura, per accostarsi alla fragilità e per coglierne i messaggi, per trasformarla in opportunità, occorrono perizia, discrezione, garbo, stile, grazia, sensibilità e delicatezza».
E così anziché un difetto da nascondere, la fragilità diventa una virtù che modifica la nostra relazione con gli altri, nel segno di una delicatezza nuova. Molto bello, in questo senso, lo spunto che porta Roberto Grandi:
«FRAGILE. A chi non è capitato di leggere questa scritta, posta in evidenza sulla scatola ordinata da alcuni giorni e appena giunta, che avverte della presenza di oggetti fragili? Gli spedizionieri e i corrieri, prima di noi, l’hanno trattata con cura. Con altrettanta cura noi apriamo la scatola ed estraiamo il contenuto, di cui la fragilità è non solo una caratteristica, ma spesso contribuisce ad accentuarne il valore e la preziosità. Attorno agli oggetti fragili abbiamo costruito una catena di cura che parte dalla produzione fino alla loro destinazione finale. Per le persone fragili funziona così? No. Le persone fragili sono considerate, all’interno della logica efficientistica e binaria dominante, persone deboli, che mancano di qualche cosa di essenziale in un mondo che si autoproclama abitato da persone forti, robuste, solide, efficienti, resistenti, emotivamente corazzate, sicure, che sanno quello che vogliono, che non sbagliano. (…) Con la nostra comprensione, vicinanza e condivisione, accettazione di ciò che ci appare oscuro, con l’ascolto empatico che rende capaci di condividere le emozioni, la persona fragile può trovare le ragioni di rimettersi in cammino con lentezza, circospezione e speranza per superare i propri timori e iniziare a smontare il recinto in cui si era rinchiusa. E una volta fuori dal recinto non deve (rin)negare la propria fragilità ma imparare ad abitarla, a farla compagna della propria vita, a renderla una lente attraverso la quale guardare al fondo delle persone e del mondo, a domandare e pretendere che venga rispettata come sostanza e diritto della nostra umanità».
Si intitola Fragilità il volume che, attraverso una polifonia di voci di filosofi, sociologi, storici dell’arte, economisti, esplora i tanti e diversi significati di questa caratteristica umana che guida il percorso dell’edizione 2023 di do ut do, proponendo ottimi spunti di riflessione.
Per ricevere il volume a fronte di una donazione alla Fondazione Hospice: 051 271060 – info@doutdo.it