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Uno strumento che apre «possibilità inedite», e che proprio per questo «rappresenta una grande sfida per il Terzo Settore, che si può vincere, ma si può anche perdere». Si avverte soddisfazione nella voce di Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, da sempre uno dei principali sostenitori del «valore civile» del non profit, quando gli si chiede di spiegare in sintesi il significato e la portata della Legge delega per a riforma del Terzo Settore (legge 106/2016). Vale a dire, l’inquadramento legislativo che, sottolinea Zamagni, «per la linguaggio tecnico, nel rispetto di una deontologia costruita in millenni. Per questo si resta quasi sorpresi nell’ascoltare da Stefano prima volta dopo settant’anni, considerato che fino ad oggi il riferimento giuridico era contenuto nel Codice Civile del 1942» ridisegna e sistematizza in maniera coerente il mondo del non profit italiano. Un insieme di realtà che, secondo l’Istat, comprende 350.000 enti, coinvolge 5.600.000 volontari organizzati e viaggia con un tasso di crescita superiore a quello di tutti gli altri comparti economici.
«L’aspetto più importante, la “filosofia” che la riforma mette al centro, è la vera grande conquista: dal regime della “concessione” si passa al regime del “riconoscimento”», spiega il professore: «In parole più semplici, la parte pubblica riconosce che nella società ci sono soggetti che si mettono insieme per svolgere attività a fine di bene comune. Si tratta di un principio filosofico che viene da Aristotele: chi vuol fare il bene non deve chiedere un “permesso”. La prima grande novità della riforma è proprio questa: rispetto al ruolo dell’autorità pubblica, non c’è più la parola “concede”, bensì la parola “riconosce”. Un solo verbo, che rappresenta un passo di civiltà notevole: è la presa d’atto della vera solidarietà».
Questa presa d’atto effettiva porta con sé il secondo aspetto innovativo della riforma che riguarda la sostenibilità economica delle attività: «Il riconoscimento della funzione “produttiva” e non più “redistributiva” del Terzo Settore. Anche questo essere riconosciuti come produttori di valore aggiunto è una rivoluzione copernicana», osserva Zamagni. «Fino ad oggi gli strumenti di finanziamento previsti per gli Enti del Terzo Settore erano e sono strutturalmente inadeguati, basati o sulla filantropia o sui fondi distribuiti dalla Pubblica Amministrazione. Con la Riforma viene invece introdotto il concetto di finanza sociale e si aprono possibilità per la crescita di nuovi e interessantissimi strumenti di finanziamento».
Diretta conseguenza di questi due primi pilastri su cui si fonda il cambiamento in atto «e tema su cui la Fondazione Hospice si è dimostrata – come spesso accade – all’avanguardia avendo scelto di impegnarsi “in tempi non sospetti” in uno studio di impatto», è appunto la responsabilità per il Terzo Settore di misurare gli effetti del proprio operare. «Il bene va fatto bene», spiega Stefano Zamagni. «Non basta l’intenzione. Ecco che è dunque importante che gli enti di Terzo Settore rendano conto di come raggiungono i propri obiettivi, documentando ai cittadini e a tutti gli stakeholder quanto bene è stato fatto, e come». I modelli di misurazione sono stati resi coerenti, racconta Zamagni, con le finalità che la realtà sociale persegue. «Fino ad ora la rendicontazione consisteva per la gran parte dei casi in un “racconto” dell’attività svolta.
È troppo poco. Ora le organizzazioni sono chiamate a fare un passo in più: in che modo l’attività che io svolgo ha cambiato il mio contesto di riferimento? Misurarsi è un atto che fa crescere le organizzazioni, le porta sulla strada non solo dell’efficienza, ma anche su quella dell’efficacia, della performance». Concentrando l’attenzione sull’ambito della sanità e dell’assistenza, è subito evidente come questi tre elementi della Riforma trovino un’immediata ragione d’essere, un senso compiuto. «L’Organizzazione Mondiale della Sanità pone il sistema sanitario italiano al secondo posto nel mondo, dietro solo alla Francia» premette Zamagni, partendo da un dato incontestabile. «È un fatto che troppo spesso dimentichiamo. Quindi abbiamo un ottimo sistema sanitario, ma nei prossimi anni l’universalismo su cui si basa tale sistema – e che considero una conquista di civiltà – porterà al pettine tutti i suoi nodi: prima di tutto, i costi dell’assistenza universale, destinati ad aumentare in maniera insostenibile rispetto ai vincoli di bilancio. Per questo dobbiamo, fin da ora, avere il coraggio di mettere in discussione questo sistema e reinventare un modello di sanità.
Le alternative per risolvere il dilemma sono solo due: il modello americano, che però implica la rinuncia all’universalismo oppure il passaggio alla Welfare Society. Vale a dire, tutta la società deve farsi carico del welfare. Ecco dove e come può intervenire il Terzo Settore. La sussidiarietà orizzontale, in vigore finora anche nel settore della Sanità, non basta più. Bisogna passare a una sussidiarietà circolare, secondo il modello della co-progettazione. È tempo di fare il passo decisivo mettendo ente pubblico, imprese e Terzo settore in condizioni non solo di dialogare, ma di progettare e gestire insieme tutta una serie di servizi nell’ambito del welfare, sanità compresa. È tempo che questi tre soggetti si siedano intorno a un tavolo e discutano “ad armi pari”: quali i bisogni cui rispondere, quali i criteri di gestione, quali le risorse… Si tratta, insomma, di creare un modello teorico di governance che ancora non esiste al mondo; esistono però delle buone pratiche che hanno anticipato la teoria e alcune si stanno realizzando anche in Italia».
LA «RIFORMA» DEL TERZO SETTORE
Il 2 agosto 2017, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. 3 luglio 2017, n.117, noto come “Codice del Terzo Settore”, il Governo Gentiloni ha completato l’attuazione della legge 106/2016 “Delega al Governo per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale, e per la disciplina del servizio civile universale”. È una legge che mette a sistema sotto un unico impianto normativo tutto il mondo del non profit italiano e prevede una decina di decreti attuativi che vanno a normare i diversi aspetti particolari.