Scarica il numero
Non può esistere un progetto se non si trascorre del tempo nel luogo in cui si vuole costruire. Bisogna mettersi in ascolto del territorio, del suo genius loci, comprendere cosa ti sta dicendo. Fare un progetto d’architettura è tradurre in realtà questa voce». Non è uno sciamano a parlare, con la voce soffusa e il carisma di chi, nonostante i decenni di esperienza e la celebrità, ha ancora una passione smodata per il proprio mestiere. Ma è il più grande architetto italiano, e uno dei più richiesti al mondo, Renzo Piano, che racconta come il visionario progetto firmato da lui e dal suo studio per la realizzazione dell’hospice pediatrico della Fondazione Hospice Seràgnoli che sorgerà nei pressi dell’ospedale Bellaria, nasca da un «sentirsi accolto», dall’incontro con un luogo e con un bisogno. Il bisogno è quello dei bambini e delle loro famiglie che qui, quando il tratto di pennarello e i rendering di Piano saranno realtà, verranno ospitati: «L’hospice pediatrico è un’idea drammaticamente importante, è un progetto è evidente come a dominare non sia qui il diktat dell’architetto, ma il verde. Un verde già ricco, che però ancora non bastava. «Erano gli alberi la chiave di lettura del luogo e così abbiamo cominciato dagli alberi, piantandone oltre 400 – robinie, aceri, carpini, lecci – che andranno ad aggiungersi a quelli già esistenti e che daranno vita a un bosco luminoso», spiega Piano. In simbiosi con questo bosco è stata pensata la struttura, leggera, aerea, il più possibile trasparente.
«Ci siamo ispirati non al bosco buio delle storie di paura, ma a quello incantato delle favole», racconta l’architetto, con una semplicità che disarma e scalda il cuore. «Abbiamo immaginato l’hospice come una casa sugli alberi; e quale bambino non ha mai desiderato vivere in una casa sull’albero?». I fogli con i dettagli di progetto che scorrono mentre progetto che sta sulla frontiera della medicina», confessa l’architetto, «nel progettarlo abbiamo tenuto sempre conto del valore che questo passo rappresenta per la scienza medica, ma allo stesso tempo di quella “scienza umana” che è il dare forma alla bellezza. Una bellezza che, qui, ci veniva offerta spontaneamente dalla natura. È bastato mettersi in ascolto». L’area individuata per l’hospice pediatrico è infatti una zona verde-boschiva che ospiterà una struttura da 4.500 metri quadrati, con un corpo centrale di 50 x 50 metri con tutti i servizi ospedalieri, 14 camere singole per i piccoli degenti e tre satelliti esterni, oltre a 8 appartamenti per ospitare le famiglie.
Vetro, acciaio, cemento, legno lamellare, «tutti materiali molto semplici e frugali», in perfetto stile Piano, e l’applicazione di tecnologie mirate alla massima sostenibilità, dal fotovoltaico alle sonde per sfruttare l’energia geotermica. Un edificio pensato per essere un “ospite” della natura in cui si va a inserire. E infatti guardando il progetto è evidente come a dominare non sia qui il diktat dell’architetto, ma il verde. Un verde già ricco, che però ancora non bastava. «Erano gli alberi la chiave di lettura del luogo e così abbiamo cominciato dagli alberi, piantandone oltre 400 – robinie, aceri, carpini, lecci – che andranno ad aggiungersi a quelli già esistenti e che daranno vita a un bosco luminoso», spiega Piano. In simbiosi con questo bosco è stata pensata la struttura, leggera, aerea, il più possibile trasparente.
«Ci siamo ispirati non al bosco buio delle storie di paura, ma a quello incantato delle favole», racconta l’architetto, con una semplicità che disarma e scalda il cuore. «Abbiamo immaginato l’hospice come una casa sugli alberi; e quale bambino non ha mai desiderato vivere in una casa sull’albero?». I fogli con i dettagli di progetto che scorrono mentre Piano parla dimostrano però che questa visione non è un gioco ma è lì, è concreta, è – sarà – la realtà. Ecco perché, oltre che per motivi funzionali, al piano terra sono stati pensati gli spazi per l’accoglienza, gli ambulatori, le attività di day hospital, mentre al piano superiore, all’altezza dei rami – proprio come delle case sugli alberi – trovano spazio le stanze di ricovero e degenza. Altro elemento fondamentale del progetto è la luce, «uno dei materiali più importanti per un architetto, perché la luce è leggerezza, è trasparenza, è un canale di comunicazione con la bellezza», sussurra l’architetto, quasi stesse maneggiando un materiale fragile, delicato, che bisogna saper assecondare con intelligenza, più che imporre. Scavando nel progetto, esplodono significati. L’architetto sorride: «Questo edificio è anche una grande metafora. Sta sospeso, perché il percorso di malattia, nella vita di questi bambini e delle loro famiglie, è un momento di sospensione. E poi gli alberi del bosco sono tutti a foglia caduca, quasi che la natura ci volesse ricordare ogni giorno il significato e il valore del nostro essere qui, ora, e come tutto questo si misuri con l’eterno». Sta in questa consapevolezza la chiave di lettura più profonda del progetto.
«L’architetto è in grado di realizzare un bel progetto quando riesce a calarsi nei panni della persona che userà quello spazio. Per una sala da concerti, devi immedesimarti in un direttore d’orchestra, in ciò che fa, che pensa e che vuole mentre è sul podio e dirige un’opera» dice Piano, andando al cuore dell’insegnamento appreso in numerosi lustri di professione.
«Ma quando progetti un hospice pediatrico, in qualche modo vai in crisi, perché devi metterti nei panni di un bambino e per di più di un bambino che sta vivendo un momento particolare della sua vita. Io sono partito da questo concetto: qui i bambini verranno a vivere. Certo, avranno bisogno di essere curati, ma avranno ancora più bisogno di rimanere bambini. Il bambino è una creatura che conosce solo il presente, l’attimo stesso in cui vive e per questo ogni attimo, ogni spazio, ogni dettaglio per lui sono importanti, unici. Per questo – e vale sempre, nel nostro mestiere, ma in questo caso vale ancora di più – costruire bene non è solo un gesto estetico, è anche un dovere etico.