Scarica il numero
Per un cambiamento culturale come quello che questa legge vorrebbe innescare, quattro anni – due dei quali “bruciati” dall’emergenza pandemica – sono un tempo ancora breve per trarre conclusioni. Soprattutto se il cambiamento al centro di questo processo riguarda un ambito delicato e permolti versi ancora tabù come le “decisioni ultime”, ovvero l’affermazione della volontà e dei desideri della persona in condizioni di malattia grave, di perdita di autonomia fisica o cognitiva, di fine vita.
Come vogliamo che il mondo della cura si comporti nei nostri confronti quando ci troveremo in questa terra di confine? Ovvero quando le scelte in gioco viaggeranno su quel sottile filo che unisce e separa medicina ed etica, quando quel che fa bene e quel che fa male non saranno definibili solo con parametri fisici e misurabili, ma dipenderanno dalle sensibilità e dalle convinzioni più profonde del malato, in un momento in cui potrebbe non essere più in grado di esprimerle? La Legge che ha aperto uno squarcio su questi scenari è la n. 219 del 2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, entrata in vigore a gennaio 2018.
Un dispositivo semplice nella forma – 8 articoli – quanto complesso nei significati, che riguarda sostanzialmente due aspetti cruciali del percorso di vita (e di malattia). Il primo è riferito alle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT, comunemente dette anche “testamento biologico” o “biotestamento”): in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e – aspetto rilevante – dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte, la Legge prevede la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, compreso il consenso o il rifiuto di accertamenti diagnostici e scelte terapeutiche.
Il secondo ambito affrontato dalla Legge è relativo alla Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC), ed è «un dispositivo che riguarda in particolare quei pazienti che hanno già una malattia progressiva e non guaribile e che sono già in cura presso medici o équipe multidisciplinari che li seguono e che dunque possono trascrivere questa pianificazione nel fascicolo sanitario o nella documentazione clinica», spiega Ludovica De Panfilis, ricercatrice e bioeticista, Responsabile dell’Unità di Bioetica presso AUSL di Reggio Emilia IRCCS.
Nel suo complesso, la finalità della Legge, giunta all’approvazione dopo un iter lungo e molto elaborato, è quella di garantire a ogni individuo, in qualunque situazione di malattia e sino alla fine della vita, un’assistenza appropriata alle sue condizioni e ai suoi bisogni e sempre rispettosa delle sue volontà. In questo senso vengono indicate come particolarmente appropriate, in un comma specifico dell’art.2, le cure palliative: «Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte», scrive il legislatore, «il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente».
Si tratta di un insieme di temi delicati e complessi, come confermato dal fatto che ancora pochi italiani hanno una conoscenza completa di questa legge e ancora meno sono coloro che hanno già depositato le proprie DAT. Fatta la legge quindi, – per parafrasare un motto celebre – lo sforzo è ora quello di “fare gli italiani”, ovvero trasformare questa opportunità di autodeterminazione in una pratica diffusa.
«Quello dell’informazione dei cittadini e della informazione-formazione degli operatori sanitari è un tema cruciale, sul quale si fonda la possibilità che questa Legge così sofferta diventi davvero uno strumento di civiltà diffusa nel nostro Paese», sottolinea Donata Lenzi, parlamentare che ha seguito tutto l’iter legislativo della 219. «Siamo in un’area tematica particolarmente sensibile, dove la chiarezza informativa troppo spesso finisce per essere vittima della superficialità, o della polemica di parte, o del sensazionalismo dei media.
Se si continua a porre il tema delle DAT, e più in generale la legge 219, accanto al tema dell’eutanasia e del suicidio assistito, si porta l’opinione pubblica fuori strada. Bisogna essere chiari nell’affermare che le DAT e la Pianificazione condivisa delle cure non sono strumenti per autorizzare l’eutanasia, bensì strumenti per dare dignità a una condizione di vita, per far sentire la propria voce e far rispettare le proprie convinzioni e desideri anche in un momento in cui non si è più in grado di esprimerli». Accanto ad una corretta comprensione, resta aperta anche la necessità, molto pratica, di rendere il più possibile accessibile ai cittadini l’effettiva compilazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento. «Ci si è resi conto che non è sufficiente mettere a disposizione un modulo, bisogna anche aiutare le persone a riflettere sul significato delle scelte che compiono. Le associazioni, le realtà sanitarie, le aziende sanitarie e i medici del territorio possono svolgere un ruolo importante nell’aprire canali per informare e per aiutare a scrivere le DAT in maniera consapevole. Ripeto: non deve passare il concetto che compilare le DAT equivalga a mettere una crocetta su un modulo. Significa dare indicazioni che consentano, di fronte a situazioni oggi imprevedibili, di far comprendere qual è il senso della propria volontà affinché chi si occuperà di noi abbia gli strumenti per rispettarla al meglio».
Un ragionamento che ne innesca un altro, ancora più ampio. Gli articoli della Legge confermano non solo il ruolo centrale della persona come “attore-attivo” anche in vista o durante una condizione di malattia, ma riaffermano la cura come spazio di relazione, di confronto, di dialogo, di reciproca conoscenza tra operatori sanitari e persona-paziente. In molti casi anche tra operatori, paziente e caregiver, dal momento che il dispositivo prevede la figura del fiduciario, che agisca per conto del paziente secondo le sue volontà. In questa dinamica il medico non è più colui che, secondo un’ottica paternalistica della professione ancora ampiamente radicata, decide per il malato in quanto in possesso delle informazioni utili, bensì colui che mette il paziente – e nel caso i suoi familiari – nelle migliori condizioni per decidere.
Un passaggio non da poco. «La Legge 219 introduce strumenti che stanno cambiando di fatto la relazione di cura tra paziente e curante», conferma Ludovica De Panfilis. «L’operatore sanitario non è soltanto chi agisce per il bene del malato, ma colui che ha il compito di trasferire un’informazione il più possibile chiara, precisa, inquadrata in un contesto spesso complesso. All’interno di una relazione di cura la responsabilità delle proposte mediche resta sempre in capo al medico. Non si può mai lasciare una persona da sola a scegliere tra due o più opzioni senza condividere ogni passo di questa scelta. Se correttamente intesa, la Legge 219 non deresponsabilizza i professionisti della cura, tutt’altro. Dice: “scegliamo insieme quel che è meglio per te, ti aiuto a comprendere”.
Questo implica, al contempo, uno sforzo del professionista a capire davvero la persona che ha di fronte, i suoi bisogni anche non espressi, il suo senso della vita e della morte. Questo vale per le DAT e a maggior ragione per la Pianificazione Condivisa delle Cure, che allontana le scelte critiche per la vita di una persona dal contesto dell’urgenza – dove è sempre il medico a dover decidere – e consente al paziente di avere tempo per ragionare sulla sua traiettoria di malattia, sulle sue evoluzioni e su come affermare la propria sfera valoriale all’interno di questo scenario. Si tratta insomma di un vero e proprio strumento che mette al centro della relazione di cura la tutela delle preferenze individuali, per far sì che le scelte si basino sui valori e sugli obiettivi della persona che ha una malattia invalidante e progressiva e che nessuna decisione di cura venga presa senza conoscere la volontà del paziente».
ARTICOLO 4 – Disposizioni Anticipate di Trattamento
Comma 1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
ARTICOLO 5 – Pianificazione Condivisa delle Cure
Comma 1. Nella relazione tra paziente e medico (…), rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.
Comma 2. Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, (…) in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.
La redazione delle DAT può avvenire: in presenza di un notaio con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata; presso l’Ufficio di stato civile del Comune di Residenza con una scrittura privata; presso le strutture sanitarie competenti attraverso la compilazione di un modulo; presso gli Uffici consolari italiani, per i cittadini residenti all’estero.
Prima di scrivere una DAT è importante acquisire adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte relative al rifiuto o consenso a determinati accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari (es. nutrizione artificiale e idratazione artificiale).
Non esistono moduli previsti dalla Legge, tuttavia alcuni Comuni, ma anche associazioni e realtà sanitarie hanno predisposto dei modelli destinati alla compilazione. Qualunque sia la modalità scelta, tutte le DAT vengono poi trasmesse e inserite nella Banca dati nazionale delle DAT, attivata a partire dal 01 febbraio 2020. Le DAT sono rinnovabili, modificabili e cancellabili dalla banca dati in qualunque momento e sono esenti da qualsiasi tributo o imposta.
La Legge prevede la possibilità di indicare nella DAT un fiduciario, la cui scelta è rimessa completamente alla volontà del disponente. Il fiduciario deve essere maggiorenne e capace di intendere e di volere; è chiamato a rappresentare l’interessato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.